Riformare il sistema per conservare la democrazia

Una riforma per il futuro.

Stabile nell’instabilità” così è sempre stato il sistema italiano della “prima Repubblica”, capace di cambiare governo per ben 52 volte mantenendo però sempre una continuità politica interna ed una azione estera coerente con i governi precedenti. Nonostante le sue innumerevoli sigle quali: PLI; PRI; PSDI; PSI; MSI e PNM (per i più giovani, non stiamo avendo una crisi dislessica) era abbastanza semplice cambiare governo quasi annualmente se, alla fine, alla base di tutto rimaneva la vecchia e rassicurante Democrazia Cristiana a tenere la barra dritta. Oggi quella capacità è venuta meno perché il mondo e la politica occidentale sono cambiati. E’ certamente una politica più divisiva, con meno regole e senza grandi attori capaci di fare sintesi. Mentre tutti ripetono la litania del “Non ci sono più destra e sinistra”, la realtà è che oggi più che mai, negli ultimi quarant’anni, le visioni del mondo tra le due sono veramente agli antipodi e in un sistema di campagna elettorale permanente, l’interesse della partitocrazia ha spesso prevalso sull’interesse nazionale. Laddove regna la stabilità, fioriscono le politiche a lungo termine e l’unica soluzione è quella che consente ai governi di governare, ovvero divenire una Repubblica semi-presidenziale.

Riformare il sistema per conservare la democrazia

Una riforma per il futuro.

Stabile nell’instabilità” così è sempre stato il sistema italiano della “prima Repubblica”, capace di cambiare governo per ben 52 volte mantenendo però sempre una continuità politica interna ed una azione estera coerente con i governi precedenti. Nonostante le sue innumerevoli sigle quali: PLI; PRI; PSDI; PSI; MSI e PNM (per i più giovani, non stiamo avendo una crisi dislessica) era abbastanza semplice cambiare governo quasi annualmente se, alla fine, alla base di tutto rimaneva la vecchia e rassicurante Democrazia Cristiana a tenere la barra dritta. Oggi quella capacità è venuta meno perché il mondo e la politica occidentale sono cambiati. E’ certamente una politica più divisiva, con meno regole e senza grandi attori capaci di fare sintesi. Mentre tutti ripetono la litania del “Non ci sono più destra e sinistra”, la realtà è che oggi più che mai, negli ultimi quarant’anni, le visioni del mondo tra le due sono veramente agli antipodi e in un sistema di campagna elettorale permanente, l’interesse della partitocrazia ha spesso prevalso sull’interesse nazionale. Laddove regna la stabilità, fioriscono le politiche a lungo termine e l’unica soluzione è quella che consente ai governi di governare, ovvero divenire una Repubblica semi-presidenziale.

Padri (in)costituenti

Ma quale pericolo fascista.

Toccare la “Costituzione più bella del mondo” è quasi peggio che mettere il ketchup sugli spaghetti. La prima cosa che ci si sente dire quando si parla di presidenzialismo è “Sei un fascista”. A eccezione della sacra suddivisione dei poteri, in Italia siamo convinti che si debba concedere poco potere a tutti, così che, come alla corte di Hitler o Stalin, ognuno controlli che l’altro non decida troppo. Il risultato ottenuto è che nessuno si assume responsabilità e tutto è ridotto a politiche di breve o brevissimo termine. Su questa assurda convinzione, scaturita da una sbagliatissima interpretazione del fascismo, si è scelto di fare dell’Italia una Repubblica parlamentare, vale a dire dei partiti i quali sono, per loro stessa natura, litigiosi e più interessati alle percentuali che all’amministrazione dello stato. Il fascismo, però, non nacque da un governo forte bensì da una democrazia debole, nella quale i governi si alternavano freneticamente senza capacità di risolvere i problemi. La Francia lo capì benissimo nel 1958 e rafforzò la sua democrazia consentendo ad un presidente, eletto dal popolo, di governare fino a scadenza di mandato. La nostra non è la Costituzione più bella del mondo e, ci dispiace per i progressisti, non è nemmeno una costituzione giuridica: è  un testo politico scritto contro qualcuno e qualcosa (casa Savoia e il fascismo). Rimangano pure tali articoli, è comunque chiaro come le necessità dell’Italia del 1945 non siano quelle dei giorni nostri e che ora urge una costituzione che disciplini uno stato serio, funzionante, efficace. Il fascismo non tornerà per questo, anzi: quando una democrazia diviene più efficiente, allontana da sé ogni pericolo per la sua sopravvivenza.

Padri (in)
costituenti

Ma quale pericolo fascista.

Toccare la “Costituzione più bella del mondo” è quasi peggio che mettere il ketchup sugli spaghetti. La prima cosa che ci si sente dire quando si parla di presidenzialismo è “Sei un fascista”. A eccezione della sacra suddivisione dei poteri, in Italia siamo convinti che si debba concedere poco potere a tutti, così che, come alla corte di Hitler o Stalin, ognuno controlli che l’altro non decida troppo. Il risultato ottenuto è che nessuno si assume responsabilità e tutto è ridotto a politiche di breve o brevissimo termine. Su questa assurda convinzione, scaturita da una sbagliatissima interpretazione del fascismo, si è scelto di fare dell’Italia una Repubblica parlamentare, vale a dire dei partiti i quali sono, per loro stessa natura, litigiosi e più interessati alle percentuali che all’amministrazione dello stato. Il fascismo, però, non nacque da un governo forte bensì da una democrazia debole, nella quale i governi si alternavano freneticamente senza capacità di risolvere i problemi. La Francia lo capì benissimo nel 1958 e rafforzò la sua democrazia consentendo ad un presidente, eletto dal popolo, di governare fino a scadenza di mandato. La nostra non è la Costituzione più bella del mondo e, ci dispiace per i progressisti, non è nemmeno una costituzione giuridica: è  un testo politico scritto contro qualcuno e qualcosa (casa Savoia e il fascismo). Rimangano pure tali articoli, è comunque chiaro come le necessità dell’Italia del 1945 non siano quelle dei giorni nostri e che ora urge una costituzione che disciplini uno stato serio, funzionante, efficace. Il fascismo non tornerà per questo, anzi: quando una democrazia diviene più efficiente, allontana da sé ogni pericolo per la sua sopravvivenza.

Proporzionale?
No grazie.

In vista delle elezioni, buona parte dei governi ha sempre messo mano alla legge elettorale nella speranza di volgerla a proprio favore. Morale? Hanno sempre perso. Verrebbe da chiedersi se questa legge elettorale non porti sfortuna. Per noi, rafforzare il ruolo del governo non ha alcun senso senza una legge elettorale che limiti una volta per tutte l’assurdo partitismo italiano. Il nostro sistema è il più frammentato in Europa e anche quando Pd e PDL si contendevano il governo, il bipolarismo fu quasi di facciata: alle politiche del 2006, infatti, le due coalizioni erano composte da ben 14 liste differenti. Un governo serio, stabile e libero dal partitismo può esistere solo con una maggioranza chiara ed omogenea, alla quale vengono assegnati i seggi necessari per governare. Soltanto un sistema maggioritario a doppio turno, con sue eventuali declinazioni, può garantire tale scenario. Destra o sinistra poco importa: chi vince ha il diritto, e il dovere, di governare.

Proporzionale?
No grazie.

In vista delle elezioni, buona parte dei governi ha sempre messo mano alla legge elettorale nella speranza di volgerla a proprio favore. Morale? Hanno sempre perso. Verrebbe da chiedersi se questa legge elettorale non porti sfortuna. Per noi, rafforzare il ruolo del governo non ha alcun senso senza una legge elettorale che limiti una volta per tutte l’assurdo partitismo italiano. Il nostro sistema è il più frammentato in Europa e anche quando Pd e PDL si contendevano il governo, il bipolarismo fu quasi di facciata: alle politiche del 2006, infatti, le due coalizioni erano composte da ben 14 liste differenti. Un governo serio, stabile e libero dal partitismo può esistere solo con una maggioranza chiara ed omogenea, alla quale vengono assegnati i seggi necessari per governare. Soltanto un sistema maggioritario a doppio turno, con sue eventuali declinazioni, può garantire tale scenario. Destra o sinistra poco importa: chi vince ha il diritto, e il dovere, di governare.

Ricorso al decreto legge

Craxi, Berlusconi, Renzi: diversi tentativi di riforma istituzionale che fallirono. La politica italiana pare non gradire il cambiamento radicale alla luce del sole, preferisce vie traverse, meno chiassose e che non sconvolgano troppo, o troppo velocemente, la struttura istituzionale. Se però i tentativi scoperti di riforma fallirono, i dati riguardanti il ricorso dei governi ai decreti leggi ed al voto di fiducia sono estremamente significativi. Gli esecutivi degli ultimi dieci anni hanno tutti una cosa in comune: la ricerca di un maggior peso ed una maggiore forza. Il continuo ricorso a strumenti che fino a ieri erano considerati di misura straordinaria, indicano come sia sempre più necessario limitare il ruolo di un parlamento instabile, procrastinatore e spesso messo in piedi con maggioranze partitiche assurde, per agevolare un’attività esecutiva più solida, capace di durare oltre l’anno e mezzo della durata media dei governi italiani e di mettersi quindi al pari dei governi europei e mondiali.

Ricorso al decreto legge

Craxi, Berlusconi, Renzi: diversi tentativi di riforma istituzionale che fallirono. La politica italiana pare non gradire il cambiamento radicale alla luce del sole, preferisce vie traverse, meno chiassose e che non sconvolgano troppo, o troppo velocemente, la struttura istituzionale. Se però i tentativi scoperti di riforma fallirono, i dati riguardanti il ricorso dei governi ai decreti leggi ed al voto di fiducia sono estremamente significativi. Gli esecutivi degli ultimi dieci anni hanno tutti una cosa in comune: la ricerca di un maggior peso ed una maggiore forza. Il continuo ricorso a strumenti che fino a ieri erano considerati di misura straordinaria, indicano come sia sempre più necessario limitare il ruolo di un parlamento instabile, procrastinatore e spesso messo in piedi con maggioranze partitiche assurde, per agevolare un’attività esecutiva più solida, capace di durare oltre l’anno e mezzo della durata media dei governi italiani e di mettersi quindi al pari dei governi europei e mondiali.

Il voto di fiducia

Vale a dire l’anticamera di un presidenzialismo strambo.

Il ricorso al voto di fiducia ha assunto, a partire dai governi del primo decennio del duemila, un ruolo differente, con un suo incremento massiccio da parte dell’esecutivo per ottenere il passaggio di disegni di legge. Questa pratica è stata adottata in media il 30% negli ultimi sei governi (Berlusconi IV 16,42%; Monti 45,13%; Letta 27,78%; Renzi 26,72%; Gentiloni 32,99%; Conte I 31,58%) e rappresenta un significativo punto di incontro con l’art. 49.3 della costituzione francese del 1958, il quale permette al primo Ministro di impegnare la responsabilità del governo di fronte all’Assemblea e di far quindi approvare una legge, economica o sociale, senza passare per il voto assembleare, salvo mozione di sfiducia presentata in 24 ore e firmata dalla maggioranza dei membri dell’Assemblea. Tradotto? Si lega la legge in questione alla fiducia del governo: o si vota a favore, approvando sia la fiducia che la legge, o si va a casa. É noto che il voto di fiducia italiano sia di matrice differente: il governo francese non ne è soggetto all’insediamento ed in Italia nasce come strumento di garanzia e supremazia parlamentare “il governo deve avere la fiducia delle due Camere”, ma esso è diventato nel corso degli anni strumento di decisionismo politico in mano al governo, avvicinando l’approccio dell’esecutivo più al modello francese che alla concezione originariamente espressa dalla Costituzione italiana.

Il voto di fiducia

Vale a dire l’anticamera di un presidenzialismo strambo.

Il ricorso al voto di fiducia ha assunto, a partire dai governi del primo decennio del duemila, un ruolo differente, con un suo incremento massiccio da parte dell’esecutivo per ottenere il passaggio di disegni di legge. Questa pratica è stata adottata in media il 30% negli ultimi sei governi (Berlusconi IV 16,42%; Monti 45,13%; Letta 27,78%; Renzi 26,72%; Gentiloni 32,99%; Conte I 31,58%) e rappresenta un significativo punto di incontro con l’art. 49.3 della costituzione francese del 1958, il quale permette al primo Ministro di impegnare la responsabilità del governo di fronte all’Assemblea e di far quindi approvare una legge, economica o sociale, senza passare per il voto assembleare, salvo mozione di sfiducia presentata in 24 ore e firmata dalla maggioranza dei membri dell’Assemblea. Tradotto? Si lega la legge in questione alla fiducia del governo: o si vota a favore, approvando sia la fiducia che la legge, o si va a casa. É noto che il voto di fiducia italiano sia di matrice differente: il governo francese non ne è soggetto all’insediamento ed in Italia nasce come strumento di garanzia e supremazia parlamentare “il governo deve avere la fiducia delle due Camere”, ma esso è diventato nel corso degli anni strumento di decisionismo politico in mano al governo, avvicinando l’approccio dell’esecutivo più al modello francese che alla concezione originariamente espressa dalla Costituzione italiana.

Si ma che facciamo?

Per una Repubblica stabile occorre limitare la partitocrazia.

Se la politica non affronterà seriamente il tema, sarà forte il rischio di avere un concreto funzionamento delle istituzioni troppo diverso da quello che prevede la Costituzione. Avremo un sistema ibrido, strambo, sempre meno legato alle norme ma sempre più alle “prassi”, insomma un sistema improvvisato, quindi perfettamente italiano. Scherzi a parte, è ora di fare sul serio: rafforziamo la democrazia e custodiamola per il futuro: riforma semipresidenziale e legge elettorale in Costituzione.

Si ma che facciamo?

Per una Repubblica stabile occorre limitare la partitocrazia.

Se la politica non affronterà seriamente il tema, sarà forte il rischio di avere un concreto funzionamento delle istituzioni troppo diverso da quello che prevede la Costituzione. Avremo un sistema ibrido, strambo, sempre meno legato alle norme ma sempre più alle “prassi”, insomma un sistema improvvisato, quindi perfettamente italiano. Scherzi a parte, è ora di fare sul serio: rafforziamo la democrazia e custodiamola per il futuro: riforma semipresidenziale e legge elettorale in Costituzione.

AFFARI LEGALI

POLITICA (MA DELLA PRIVACY)

POLITICA (MA DELLA PRIVACY)